martedì

Sport e salute: nuove linee guida sull’attività fisica


l Department of Health and Human Services (HHS, USA) ha pubblicato delle nuove linee guida riguardanti l' attività fisica necessaria per restare in buona salute. Con queste nuove linee direttive, nessuno è dispensato dall'esercizio, neanche i bambini, gli anziani o i diversamente abili Le raccomandazioni precedenti che erano applicabili agli adulti in buona salute, raccomandavano 30 minuti quotidiani di attività fisica moderata.I Ora si raccomanda che gli adulti pratichino almeno 2 ore e mezzo alla settimana di attività fisica moderata come la marcia veloce, 1 ora e 15 minuti di jogging di media intensità, il nuoto o altre attività aerobiche.

Una combinazione di due tipi di esercizio può portare agli stessi risultati, ma l'esercizio deve durare almeno 10 minuti per sollecitare il ritmo cardiaco. Gli adulti devono anche fare degli esercizi di rafforzamento muscolare due giorni o più alla settimana. L' esercizio scelto deve far lavorare tutti i principali gruppi muscolari. I pesi e la resistenza delle macchine, ma anche il portare dei pesi o fare del giardinaggio intenso forniscono tutti gli stessi risultati e contribuiscono al controllo dei muscoli e del benessere del corpo. Combinare gli esercizi di rafforzamento dei muscoli, per un totale di 5 ore o più a intensità moderata o intensa, con 2 ore e mezzo di esercizi aerobici sarà sufficiente per restare in forma.

Anche gli anziani, se vogliono fare il possibile per restare in forma, dovrebbero adattarsi a queste nuove linee direttive decretate dall' HHS, sempre che il loro equilibrio o le loro capacità fisiche glielo permettano. Esistono degli esercizi specifici per alcune malattie, come il miglioramento dell' equilibrio. Anche gli adulti disabili sono invitati a seguire le linee direttive per quanto possibile. I bambini e gli adolescenti dovrebbero dedicare almeno un'ora di attività moderata o intensa ogni giorno. Le attività intense sono raccomandate almeno tre giorni alla settimana, e il rafforzamento delle ossa è previsto con esercizi come la corsa, il salto o la corda. Scalare gli alberi, per esempio, si integra benissimo nel tipo di attività di rafforzamento muscolare.

Neanche le donne incinta sono esonerate! Le donne incinta in buona salute devono praticare un minimo di 150 minuti di attività sportiva moderata alla settimana, durante e dopo la gravidanza. Di solito, una donna può continuare a praticare tutte le attività che praticava prima della gravidanza, previa consultazione del medico. Le raccomandazioni premettono a ciascuno di trovare la propria attività e il proprio orario, che si tratti di passeggiate su un campo da golf o portare fuori il cane. Le persone che desiderano perdere del peso o mantenerlo possono avere bisogno di praticare più attività per realizzare questi obiettivi. Con più di 60 milioni di adulti obesi negli Stati Uniti, di cui almeno un terzo è costituito da bambini sovrappeso e il 16% obeso, è tempo di agire.

L'HHS ha voluto basare le sue linee guida su dati scientifici. Un panel di esperti ha esaminato i dati raccomandati dall'HHS. Oltre alla durata dei periodi di esercizio, il gruppo ha ribadito ciò già si sapeva, e cioè che un'attività fisica regolare riduce il rischio di attacchi cardiaci e di incidenti di tipo vascolare-cerebrale (AVC) del 20%. Riduce inoltre il rischio d'ipertensione arteriosa, di diabete di tipo 2, e di cancro al colon e al seno.
L'esercizio fisico aiuta a conservare le ossa e le articolazioni in buona salute, combatte la depressione e favorisce un sonno più ristoratore. Come giudicate il tasso della vostra attività fisica? Le attività moderate dovrebbero permettere ad una persona di parlare, senza essere in grado di cantare. Le attività intense permettono di pronunciare soltanto alcune parole con pause per riprendere il fiato.
Adesso, che è l'inizio dell'anno, è il momento di iniziare ad applicare i buoni propositi con un programma di esercizi, che non diverrà più facile se aspettate!

By: Neomi Heroux
fonte:http://it.healthnews.com

lunedì

Qualche rimedio omeopatico per l’insonnia


L'omeopatia suggerisce molti rimedi per curare l'insonnia. E' un disturbo che oggi si presenta con i connotati di una vera e propria epidemia con dati in continua crescita, e con quasi un terzo degli abitanti dei paesi più industrializzati che lamentano problemi del sonno. Questi rimedi sono semplici e accessibili a tutti,ma per risultati più efficaci e specifici consultatevi con un omeopata di fiducia.

Belladonna: il Belladonna è indicato per gli stati di grande ansia. Immagini paurose possono invadere il nostro sonno, provocandoci paure e angosce. Gli incubi ci risvegliano e possono restare nella nostra mente impedendoci di riprendere sonno.

Aconitum napellus: Questo rimedio aiuta le persone che soffrono di attacchi di panico notturno. La paura e l'ansia arrivano di improvviso appena ci si addormenta e ci svegliano.

Arsenicum album: È indicato per i soggetti ansiosi e compulsivi, particolarmente ossessionati da piccoli dettagli e che non riescono a dormire bene se non sentono che tutto è a posto. Può dipendere da momenti di stanchezza e sfinimento, o anche da ansie fisiche e mentali. Il sonno quanto arriva è disturbato e irrequieto, con sogni pieni di paure e insicurezze.

Calcarea phosphorica: E' un rimedio indicato per i bambini con problemi di crescita, e anche per gli adulti che soffrono di dolori ossei o articolari, oppure con tensioni alle regioni lombari o dorsali che impediscono il sonno. Questi soggetti possono restare svegli per ore, sentendosi sempre depressi e irritabili durante la giornata, anche a causa di una stanchezza diffusa e continua.

Cocculus: E' il rimedio classico per le persone che sono "troppo stanche per dormire", magari perché hanno passato molte ore senza sonno: i genitori di bimbi piccoli, gli accudienti di persone malate, i lavoratori notturni, i viaggiatori colpiti da jet lag.

Coffea cruda: L'eccitazione mentale e gli stimoli nervosi impediscono il sonno e hanno bisogno di una cura. Le cause possono essere positive o negative. L'indomani mattina ci aspetta un evento importante e la tensione invade la notte. Se anche ci si addormenta, il sonno sarà spesso leggero e pieno di sogni vividi, qualsiasi suono ci disturberà. Questo rimedio aiuta anche coloro che fanno un uso eccessivo di caffeina.

Ignatia: Se l'insonnia è causata da un particolare stato emotivo, come un dolore o una perdita, una delusione d'amore, un trauma o qualsiasi altro fattore, questo rimedio può essere utile. Spesso una persona particolarmente sensibile o nervosa, che magari sbadiglia e sonnecchia durante il giorno, può avere dei problemi nel rilassarsi e dormire la notte.

Kali phosphoricum: Le persone con un'insonnia da esaurimento nervoso, dovuto a stress psichici o a lavori sfiancanti, potranno avere dei benefici da questo rimedio. Valido anche per stati di depressione o ansietà e di ipersensibilità ai rumori, alle luci e al dolore.

Lycopodium: Questo rimedio serve per coloro che non riescono a ricordare i loro sogni e spesso hanno persino il dubbio di avere effettivamente dormito. L'insonnia si annida spesso dietro stati di insoddisfazione: una mancanza di autostima può portare a dubitare delle proprie capacità, anche in maniera eccessiva e sbagliata. L'insonnia causata da problemi digestivi, specialmente da gas, può anche essere trattata con questo rimedio.

Nux vomica: Ottimo per le persone che hanno un po' ecceduto nel bere, nel cibo o negli stimolanti. Questi soggetti non faticano ad addormentarsi, ma il loro sonno è leggero, e spesso si svegliano molto presto, restando svegli a letto per ore. Una volta in piedi, rimangono tesi, irritabili e nervosi, infastiditi dalla mancanza di sonno.

Silicea (detta anche Silica): E' utile per le persone nervose con una stamina bassa, causa di stanchezza prima e, paradossalmente, di insonnia dopo. Le persone spesso si addormentano presto, ma dopo poco si svegliano d'improvviso con un senso di bruciore in testa, e faticano a riaddormentarsi.

Zincum metallicum: E' indicato per le insonnie causate da una eccessiva attività cerebrale. La causa può essere un eccesso di lavoro, o una naturale propensione alle piccole nevrosi. Spesso si avverte fiacchezza alle estremità e lo stare a letto risulta fastidioso.

By: Melanie Grimes
fonte:http://it.healthnews.com

domenica

La dieta a tappe


Per riuscire: pause «premiate» tra periodi di regime stretto

Per chi è in sovrappeso, perdere i primi chili non è così difficile, poi il dimagrimento rallenta e cala solo la buona volontà Chi ha seguito una dieta sa bene che all'inizio si perde peso abbastanza facilmente, ma poi l'impresa diventa sempre più difficile. E magari, oltre a non vedere più i risultati sperati, si tende anche a recuperare chili.Lo conferma anche uno studio, recentemente pubblicato dal New England Journal of Medicine, dal quale emerge, in sintesi, che tutte le diete sono uguali sia nei benefici sia nei limiti.

Nella ricerca, condotta in due fra i più importanti centri di cura e ricerca americani, coordinati dal Brigham and Women's Hospital di Boston, più di 800 persone, sovrappeso o obese, sono state divise in quattro gruppi; a ciascuno è stata assegnata una dieta con uguale restrizione (meno 750 kcal al giorno ), ma una diversa ripartizione delle calorie fra proteine, grassi e carboidrati. Ebbene, nel corso dei due anni, non si sono rilevate differenze significative fra le diverse diete nè nel promuovere il dimagrimento, nè nel favorire il mantenimento. Che cosa fare, allora, per superare l'inevitabile "stallo"? L'intervento dietetico non può non tener conto di questa "resistenza" dell'organismo, che va assecondata, alternando periodi di dieta con altri di consolidamento del risultato, per poi intraprendere, solo se necessario, nuovamente il programma dimagrante. «Insomma, l'idea è quella di un "dimagrimento a tappe"» chiarisce Alfredo Vanotti, docente alla Facoltà di medicina e al corso di laurea in dietistica della Statale di Milano, nonché responsabile del Servizio di dietetica e nutrizione clinica dell'Asl di Como.

«Dato per scontato che non esiste alcun intervento in grado di "guarire" l'obesità, considerata una malattia cronica, — continua Vanotti — è evidente che le azioni, di ordine dietetico, comportamentale e terapeutico, devono essere tagliate su misura per l'individuo, non solo all'inizio del programma dimagrante, ma anche, e forse più ancora, nei mesi successivi, quando diventa sempre più difficile perdere peso». Ma perché avviene? Innanzitutto perché si riduce il metabolismo basale, ovvero l'energia utilizzata dall'organismo per le attività di base necessarie al suo normale funzionamento. Puntualizza Enzo Nisoli, professore di Farmacologia alla Facoltà di Medicina di Mi-lano: «La riduzione del metabolismo basale è un'azione messa in atto dall'organismo per difendersi da quello che, in termini evolutivi, interpreta come un rischio per la sopravvivenza. I meccanismi implicati sono molti e ancora in via di definizione. Comunque, sembra che siano soprattutto il sistema nervoso simpatico e alcuni ormoni, tra i quali gli ormoni tiroidei, la leptina, l'adiponectina e altri, ad avere un ruolo, riducendo il metabolismo di base, in risposta alla riduzione di calorie. Quando poi si torna all'alimentazione normale, può essere necessario del tempo prima che i meccanismi del metabolismo basale riprendano il ritmo precedente; quindi anche una dieta normocalorica potrebbe favorire l'aumento di peso».

Anche i fattori psicologici sono importanti. La noia può rendere più difficile l'adesione alla dieta e, avvertendo i primi benefici del dimagrimento, si può magari essere portati a ridurre l'attenzione. Un motivo in più per procedere "a tappe". Ma questa dieta a fasi come si attua concretamente? «La prima fase, — dice Vanotti — cioè quella dimagrante, ha nella dieta ipocalorica e nell' esercizio fisico i suoi pilastri. La composizione della dieta dipende dalle caratteristiche del paziente e dal suo stile di vita, e può essere via via modificata, a seconda del raggiungimento o meno degli obiettivi. Una riduzione del 10%, rispetto al peso di partenza e in circa sei mesi, è l'obiettivo ideale. Ma anche un calo dal 5 al 10% può andare bene, specie se l'eccesso di peso è moderato, o se si nota una certa "refrattarietà" al dimagrimento, tipica in chi si è già sottoposto a ripetute diete. L'esercizio fisico deve essere quotidiano, di tipo aerobico, di intensità non eccessiva: bastano 15-20 minuti al giorno ».

Farmaci e integratori possono essere utili? «In questa prima fase si può ricorrere ai farmaci, ma solo se è davvero necessario, sotto stretta prescrizione medica e per tempi limitati — chiarisce Vanotti —. Anche alcuni integratori possono essere impiegati, ad esempio per combattere l'ec cessiva ritenzione idrica, o la "fame nervosa", ma anche per il loro "effetto placebo"». Dopo questa fase, si passa al consolidamento del risultato, per un periodo di 6-8 mesi, durante i quali l'obiettivo è mantenere il peso entro una fluttuazione massima del 2%. «L'alimentazione — riprende Vanotti — sarà quindi più libera, con indicazioni più qualitative che quantitative (per esempio, fare attenzione ai condimenti grassi). In questa fase, si potrà godere di un "bonus" di circa 200 kcal da spendere liberamente. Anche se sarebbe meglio indirizzarsi verso scelte, oltre che gradevoli per il palato, anche valide per ricchezza di fattori protettivi, come gli antiossidanti. E penso alla frutta secca, ai frutti di bosco o, in mancanza di controindicazioni, a un bicchiere di vino rosso, o all'aggiunta di un cucchiaio di olio extravergine. Anche questa fase va monitorata attentamente con un diario su cui annotare abitudini alimentari e attività fisica, in modo da poter prontamente intervenire per correggere il tiro». Dopo questo periodo di consolidamento, se necessario, si interviene con un nuovo programma dimagrante. Va sottolineato che, a detta di tutti gli esperti, è preferibile mantenere una moderata perdita di peso per un periodo prolungato, piuttosto che riprendere peso dopo un dimagrimento più consistente.


Carla Favaro
Nutrizionista
fonte:http://www.corriere.it

sabato

Domenica 5 aprile si corre la «Stramilano», la più classica delle corse di fondo «di massa» italiane.


(Ansa) E in quell'occasione non poche persone decidono di mettersi un paio di scarpe da ginnastica ai piedi per fare quella che magari giudicano una semplice «sgambata» per celebrare la primavera. Detto che ci si può benissimo fermare anche dopo un chilometro se si capisce di non essere all'altezza del lungo percorso, va comunque ribadito che un adeguato allenamento sarebbe auspicabile prima della partenza. A questo scopo riportiamo qui sotto il decalogo reso noto proprio dagli organizzatori con i consigli «minimi» cui attenersi per l'allenamento prima della gara, redatto da Giuseppe Magni, anestesista rianimatore e medico sanitario della Stramilano e i consigli alimentari a cura del Centro di Medicina dello Sport Fondazione Don Gnocchi.
IL DECALOGO
1. Praticare la corsa nelle aree verdi dei parchi, dove la qualità dell’aria è migliore
2. Correre su strade non sconnesse per non danneggiare le caviglie , privilegiare i percorsi sulla terra o sull’erba.
3. Evitare le giornate troppo calde e afose ma anche quelle troppo fredde.
4. Vestirsi nel modo più adatto al clima della stagione. Ciò significa coprirsi bene quando fa freddo, nonostante la sensazione di calore prodotta dallo sforzo fisico. Indossare indumenti leggeri e far respirare la pelle con il clima caldo
5. Verificare che le scarpe utilizzate permettano di ammortizzare i passi della corsa.
6. Non correre a digiuno, né a stomaco pieno. In generale, un’alimentazione regolare e varia aiuta l’attività sportiva
7. Reidratare il corpo durante la corsa, bevendo spesso liquidi ma a piccoli sorsi.
8. Respirare prevalentemente dal naso e non dalla bocca. Questo permette di umidificare l’aria, e di riscaldarla in caso di clima freddo, così da evitare l’eccessiva secchezza della gola.
9. Fare stretching prima della corsa riscalda i muscoli, evita dolorosi strappi e contrazioni muscolari durante lo sforzo. Fare stretching alla fine della corsa rilassa e restituisce elasticità ai muscoli dopo lo sforzo.
10. Per iniziare correre per un tempo di circa 15 minuti. Con il tempo aumentare a 30 minuti, 45 fino a un’ora. Per mantenere una buona forma fisica è comunque sufficiente correre 30 minuti 2-3 volte alla settimana.

I CONSIGLI ALIMENTARI
1. Regola generale: nei giorni precedenti la Stramilano non stravolgere le proprie abitudini alimentari; 2. Prima di una gara non assumere il solito cappuccino, caffellatte, latte, yogurt
3. Prima di una competizione assumere, se gradite, fette biscottate, pane, marmellata, miele, thè, cafè; 4. Il giorno della Stramilano lasciare un intervallo di almeno 3 ore dall'ultimo pasto e l'inizio della gara. Se proprio non se ne può fare a meno, si può consumare uno spuntino molto leggero 30/40 minuti prima della prestazione;
4. Mentre si corre è opportuno reintegrare le perdite di sali e acqua. Bere a piccoli sorsi;
5. Negli allenamenti è opportuno utilizzare le bevande apposite con integratori che sono stati provati e che sono ben sopportati;
6. Nell’alimentazione dei giorni prima di una maratona quello che varia deve essere soprattutto la proporzione fra i vari nutrienti. Negli ultimi tre giorni, in pratica, si devono prendere quantità superiori di carboidrati, pochi grassi e quantità inferiori di proteine.

L'ABBIGLIAMENTO
1. Per la gara usare solo indumenti, e soprattutto le scarpe, già utilizzate in lunghi allenamenti
2. In relazione alle condizioni climatiche del giorno, curare gli indumenti

IL PARERE DEL MEDICO
Oltre al certificato di idoneità alla pratica sportiva, indispensabile per legge, un controllo dal proprio medico di famiglia nei giorni prima della gara è necessario se ci sono stati episodi febbrili, dolori e malesseri

fonte:http://www.corriere.it

I lisati batterici potenziano le difese dell’organismo


In caso di tonsilliti recidivanti e resistenti agli antibiotici, si può tentare con il vaccino terapeutico

Le tonsille, piccole masse di tessuto linfatico situate dietro la lingua, hanno una funzione difensiva contro batteri e virus. Possono però a loro volta infiammarsi: è la tonsillite.

SINTOMI - Arrossamento di tonsille e faringe, dolore nella deglutizione, febbre anche elevata, debolezza generale.

LE CURE - Se l’infezione è di tipo virale (come nel 90% dei casi), bastano antinfiammatori, sotto forma di spray o pastiglie, e riposo al caldo. Quando la febbre dura per più di due giorni e compaiono anche placche in gola o sulle tonsille, siamo di fronte a un’infezione batterica che va curata con gli antibiotici. Un tampone, seguito da una coltura in laboratorio, aiuta se necessario a individuare i farmaci più adatti.

IL VACCINO A BASE DI LISATI - In caso di tonsilliti recidivanti e resistenti agli antibiotici, si può tentare con il vaccino terapeutico a base di lisati batterici: pastiglie da prendere per dieci giorni per tre mesi. Agisce aumentando i poteri di difesa dell’organismo contro i microrganismi responsabili delle infezioni alle vie aeree superiori. Non ha particolari controindicazioni ma non c’è certezza che riduca sempre e in chiunque il rischio di recidive.

L'OPERAZIONE - Le nuove linee guida internazionali prevedono il ricorso al bisturi solo se ci sono ostruzioni respiratorie (tonsille troppo grosse, che provocano apnea), oppure nel caso di ripetute infezioni resistenti agli antibiotici. In linea di massima, se si presentano almeno cinque tonsilliti acute in un anno è bene rivolgersi a un otorino che valuterà se operare.

Alberto Maccari 
(otorinolaringoiatra)
fonte:http://www.corriere.it

venerdì

GLI ANTIBIOTICI RIDUCONO IL RISCHIO ABORTO DEL 90%


SE ASSUNTI PRIMA DI UN'AMNIOCENTESI, MENO PROBABILITA' DI PERDERE IL BAMBINO
 
(AGI) - Roma, 27 mar. - Se una donna fa uso di antibiotici prima di un esame di diagnosi prenatale, come l'amniocentesi, abbassa del 90% il rischio aborto. E' il risultato di uno studio durato sette anni, dal 1999 e terminato nel 2005, pubblicato nell'ultimo numero della rivista Prenatal Diagnosis. APGA TRIAL, questo il nome dello studio, e' il piu' grande mai eseguito in tema di diagnosi prenatale e tutto rigorosamente italiano. Sono state studiate circa 40 mila donne che si sono sottoposte . ad altrettante amniocentesi presso il Centro di Medicina Materno Fetale "Artemisia" a Roma. Lo studio e' stato guidato da Claudio Giorlandino, Presidente della SIDIP, Societa' Italiana di Diagnosi Prenatale e vi hanno preso parte, tra gli altri, Pietro Cignini del Dipartimento di Diagnosi Prenatale del centro di Medicina Materno Fetale dell'Artemisia, Alvaro Mesoraca del Dipartimento di Genetica e Biologia Molecolare Medicina Materno Fetale sempre dell'Artemisia e Marco Cini del Dipartimento di Ingegneria dell'Impresa dell'Universita' di Tor Vergata di Roma che ha curato l'analisi statistica dello studio. E' stato dimostrato con la piu' alta evidenza scientifica che
deriva dalla metodologia utilizzata nello studio (randomizzato, controllato) che la profilassi antibiotica prima dell'amniocentesi del secondo trimestre abbassa di circa il 90% gli aborti, passando da 1 aborto ogni 500 donne (0,2%) ad 1 aborto ogni 3.400 donne (0,03%) che si sottopongono a questo tipo di esame prenatale. "In Europa - ha affermato Giorlandino - abbiamo la migliore medicina materno fetale. Con i dati emersi dallo studio deve essere ormai chiaro che oggi fare l'amniocentesi non e' rischioso. C'e' un rischio aborto pari allo 0,03 % per chi fa la terapia antibiotica prima di sottoporsi alla procedura e pari allo 0,2 % per chi decide di non farla, percentuale comunque sempre molto bassa. Non si deve piu' parlare di un rischio pari all'1%. Questo, risalente a 23 anni fa, e' ormai superato". Giorlandino afferma inoltre che "ormai i recenti progressi nella Diagnostica di Biologia Molecolare hanno fatto si' che oggi sul liquido amniotico non si vada piu' ad indagare solo rispetto alle cromosomopatie (la piu' nota delle quali e' la Sindrome di Down) ma anche altre malattie genetiche, legate al DNA. Questo oggi e' possibile con la tecnologia dei microarrays con i quali si ha la possibilita', in casi selezionati, di studiare centinaia di malattie genetiche". L'ultima frontiera infine che si apre su liquido amniotico e' l'isolamento su di esso di cellule staminali pluripotenti, in grado differenziarsi in tutte le linee cellulari dell'organismo. "Queste caratteristiche, insieme con l'assenza di questioni etiche riguardanti il loro isolamento ed utilizzo - conclude l'esperto - suggeriscono che le cellule staminali presenti nel liquido amniotico potrebbero essere promettenti candidati per la terapia di numerose patologie umane".fonte:http://salute.agi.it
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Odontoiatria, ora la medicina la somministra il dente


L'ultima novità dell'implantologia dentale è una protesi capace di somministrare automaticamente i medicinali a una data ora. All'interno dell'impianto si trova un serbatoio, un sistema di trasporto e un dispositivo controllato in remoto che consente di programmare il dosaggio nella quantità e nel tempo. Una sorta di "dente curativo" progettato dal dipartimento di Ingegneria biomedica dell'università di Varsavia

fonte:www.repubblica.it

giovedì

Medicina, non fidatevi dei giornali


Su PlosOne un monitoraggio sulla comunicazione medica nei media australiani. E il verdetto è pesante: “mediocre”. Perché crea false aspettative e fa propaganda sfacciata. L'unica nota positiva? L’informazione in rete

L'informazione medica? Bocciata. Perché tende al sensazionalismo, e finisce per indurre false aspettative nel pubblico, quando non propone addirittura una sfacciata pubblicità a terapie prive di validazione scientifica. Sono le conclusioni di uno studio, pubblicato su PlosOne, condotto dal Media Doctor Australia, un osservatorio indipendente che dal marzo del 2004 al giugno del 2008 ha monitorato la qualità dell’informazione medica in 1230 articoli apparsi sui media australiani: quotidiani, TV, radio, periodici e riviste on-line. E la condanna è senza appello, anche se l'osservatorio intravvede alcune leggere attenuanti: i giornalisti sono sempre sotto pressione a causa dei tempi stretti, e a volte non hanno un'adeguata formazione su temi delicati come il cancro.

Il metodo usato dall’osservatorio, che. prende in rassegna gli articoli che si occupano di nuove cure/interventi sanitari per le persone (medicine, tecniche chirurgiche, test diagnostici e le relative terapie), combina complesse analisi statistiche con analisi qualitative svolte da revisori indipendenti, ed è lo stesso utilizzato in Canada, da Doctor Canada, e negli Stati Uniti, da Health News Review. I media ritenuti utili allo scopo del monitoraggio sono stati raggruppati in quattro categorie: i periodici (The Daily Telegraph e Herald Sun), i quotidiani (The Australian, Sydney Morning Herald e The Age), i servizi di notizie on line (ABC Online e Ninemsn) e i servizi d’attualità della Tv commerciale (Today Tonight' Channel 7 e A Current Affair Channel 9). Degli articoli revisionati da Media Doctor, 613 (50,7%) erano relativi a prodotti farmaceutici, 121 (10%) riguardavano i test diagnostici, 98 (8,1%) le procedure chirurgiche e 387 (31,5%) sono stati classificati sotto la voce “altro”.

I criteri a cui i revisori si sono dovuti attenere sono stati fissati in dieci parametri: alcuni di questi riguardano la novità degli interventi di tipo medico, la loro effettiva disponibilità, le evidenze scientifiche che supportano il tipo di trattamento di cui si parla, il parere di esperti indipendenti ma anche se il giornalista abbia approfondito l'argomento in modo autonomo, o si sia limitato ad attingere al comunicato stampa dell'azienda o dell'ente di ricerca. (per lista completa vedi link a tabella).

Ogni articolo è stato esaminato secondo i dieci parametri, per ciascuno dei quali veniva stabilito un valore relativo: “soddisfacente”, “non soddisfacente” o “non valido” quando il parametro non è significativo. I punteggi finali sono espressi come percentuale di adeguatezza al tema trattato, secondo i valori assegnati. I revisori erano a loro volta supervisionati da un revisore più esperto, specie nella fase finale, quella di commento, dove si evidenziano i punti di forza, gli elementi che potrebbero essere migliorati, o gli aspetti trattati in modo inadeguato, come un linguaggio sensazionalistico o titoli inappropriati.

In termini di adeguatezza finale, dunque, la percentuale media complessiva è risultata del 52%. Rispetto a questo dato i quotidiani la fanno da padrone con un valore medio del 58%, seguiti dai periodici e dagli articoli on line, entrambi al 48%. Ultima la Tv, con un valore medio del 33%. Ma quando lo studio va a scomporre questi dati con l’analisi della varianza, assieme all’analisi qualitativa, emergono informazioni diverse e più dettagliate. Le notizie on line, ad esempio, sono quelle che hanno registrato il miglioramento statisticamente più significativo, con il 5.1%.

Viceversa, la situazione reale delle notizie della televisione, già ultima in classifica, sembra di gran lunga peggiore: “Se complessivamente la situazione è mediocre, il dato più sorprendente viene dalla Tv” – commentano gli autori dello studio. La comunicazione medica televisiva, quando centra l’interesse sull’estetica e sulla performance (35% dello spazio), è definita da Media Doctor come propaganda “sfacciata”. Ma la preoccupazione degli studiosi sale laddove lo studio ha analizzato in dettaglio l’enfasi con cui vengono presentati al grande pubblico tematiche sensibili. Dalle “nuove cure alternative” per il cancro, di cui si parlato a lungo nonostante l’assenza di qualsiasi validazione scientifica, fino al modo in cui si discute di disturbo dell’apprendimento infantile del linguaggio, parlando con disinvoltura di “scoperte d’avanguardia” o “soluzioni definitive”.

In conclusione, complessivamente, il livello è mediocre e la Tv ne esce a pezzi, con l'unica eccezione positiva del’informazione sul web. I giornalisti non sono formati, scrive lo studio, hanno poco tempo e poco spazio e non sanno decifrare il gergo medico, che certo non è cosa semplice. Molti di loro, inoltre, avrebbero serie difficoltà a distinguere tra unità di misura assolute e relative. Una difficoltà che sembra incastrarsi bene con quanto detto da alcuni giornalisti intervistati nel corso dello studio: “i dati relativi rendono la storia sensazionale”. I giornalisti, inoltre, non sembrano preoccuparsi troppo che l’uso di frasi come “scoperta”, anche parlando di cancro o altre malattie su cui vi sono poche acquisizioni certe, induca false aspettative nel pubblico. L’assenza del dubbio, concludono gli esperti, produce false speranze nel pubblico e guadagni per i più importanti gruppi di professionisti. “Se i miglioramenti sono solo on line e questa fosse davvero la situazione nel resto del mondo – concludono gli studiosi australiani - allora larghi strati di popolazione sono destinati a essere male informati o disinformati sui trattamenti che potenzialmente li riguardano”. (r.s.)fonte: http://www.galileonet.it

Tutti i benefici della cyclette



Tutti i benefici della cyclette con Valerio Gaudio
Abbiamo chiesto al personal trainer della Virgin Active quali sono i benefici che l'uso della cyclette può assicurare al nostro corpo e i tempi di allenamento a casa e in palestra.... I più fortunati vivono in città fornite di piste ciclabili e magari usano la bicicletta per molti dei loro spostamenti; alcuni ne sono così appassionati che ogni occasione è buona per saltare in sella e fare una bella pedalata in campagna o in montagna; alcuni non ci salgono da quand’erano bambini e altri salgono solo su una cyclette.

Mi chiedevo che differenza ci fosse tra la bicicletta e la cyclette: a tutte le mie curiosità ha risposto Valerio Gaudio, istruttore di atletica leggera, preparatore fisico con diverse squadre di basket e personal trainer presso la Virgin Active di Milano Corsico.

Quali sono i benefici dell’uso della cyclette? Tonifica i muscoli, rende le articolazioni sane ed efficienti (si lavora in particolare su ginocchia e caviglie), aiuta la circolazione e la capacità polmonare e consente di smaltire i chili di troppo, quindi di dimagrire. Inoltre è un tipo di esercizio in cui il peso del corpo non grava sulla schiena, perché il peso è scaricato sui pedali, per cui la cyclette è adatta anche a chi soffre di sciatalgia elombalgia.

Quanto tempo bisogna dedicare alla cyclette, a casa e in palestra? Il tempo dipende sempre dagli obiettivi che si hanno. Se l’obiettivo è dimagrire, a seconda dell’intensità, si perdono dalle 100/150 calorie fino alle 400/500 all’ora. In palestra si dedicano alla cyclette 20/30 minuti, cui vanno aggiunti poi gli esercizi per gli arti inferiori e superiori, per addominali e schiena, per la mobilità articolare e stretching. L’allenamento deve essere globale. A casa, si possono dedicare 20/30 minuti alla cyclette per 3 volte alla settimana.

Che differenza c’è tra bicicletta e cyclette? La differenza è sostanzialmente di condizionamento ambientale: andando in bicicletta si incontrano, salite, discese, dislivelli etc. Ovviamente ciò non avviene con la cyclette, dove si lavora sull’intensità. Se immaginiamo un allenamento in bicicletta, chi pedala in pianura può perdere tra le 150/200 cal/h, mentre chi magari si cimenta su strade che necessitano di una pedalata più intensa può perdere anche tra e 400 e le 500 cal/h. In cyclette a seconda degli obiettivi della persona, si prepara un allenamento a intensità variabile.

Tags: allenamento cyclette
di Valeria Leone
fonte: www.sanihelp.it

Sclerosi mutipla: scoperto meccanismo che infiamma cervello


Sanihelp.it - Alcuni ricercatori dell'Istituto per la Ricerca in Biomedicina di Bellinzona (Svizzera), in collaborazione con i ricercatori dell’Istituto Theodore Kocher di Berna (Svizzera) e dell'Unità di Neuroimmunologia dell'Università di Genova, hanno identificato un meccanismo chiave implicato nella patogenesi dell’encefalomielite autoimmune sperimentale (EAE).

L’EAE è un modello sperimentale della sclerosi multipla, una grave malattia neurologica associata a progressiva disabilità causata da un danno della mielina, la guaina che permette la conduzione nervosa lungo i nervi. Pertanto la possibilità .... di bloccare i meccanismi coinvolti nella patogenesi EAE potrebbe avere ripercussioni anche sulla sclerosi multipla.

L’EAE e la sclerosi multipla sono malattie autoimmuni. Nella sclerosi multipla, i linfociti T, globuli bianchi del sistema immunitario che normalmente ci difendono dai microrganismi, attaccano strutture del sistema nervoso centrale danneggiando la mielina e i neuroni dello stesso organismo (attacco autoimmune). Perchè questo attacco avvenga i linfociti T devono attraversare la barriera ematoencefalica, una barriera che separa il sistema nervoso centrale dal sangue.

Lo studio, pubblicato online il 22 marzo nella rivista Nature Immunology, ha identificato una molecola, chiamata CCR6, espressa sulla superficie dei linfociti T autoaggressivi, la cui presenza è necessaria affinchè abbia inizio il processo autoimmunitario all’interno del sistema nervoso centrale.

Il CCR6 permette l’ingresso dei linfociti T all’interno del sistema nervoso centrale agendo come una chiave per aprire la serratura espressa unicamente su cellule di un particolare organo cerebrale, il plesso coriodeo, una struttura specializzata nella produzione del liquido cerebrospinale (liquor). In questo modo i linfociti T auto aggressivi, che esprimono CCR6, entrano attraverso il liquor nel sistema nervoso centrale e funzionano come un grimaldello aprendo la porta ad altre cellule del sistema immunitario coinvolte nella patogenesi della sclerosi multipla. In assenza di queste cellule grimaldello, l’EAE non si sviluppa.

I linfociti T che esprimono CCR6 possono essere identificati anche nel cervello e nel liquor di persone con sclerosi multipla, suggerendo che il ruolo di questa molecola nell’innescare l’attacco autoimmunitario nel SNC è probabilmente importante anche per la patogenesi della sclerosi multipla.
Questa molecola potrebbe rappresentare un nuovo bersaglio per lo sviluppo di nuove terapie per la sclerosi multipla.

Fonte: FISM - Fondazione Italiana Sclerosi Multipla
di Roberta Camisasca

mercoledì

Scorpacciate di carne rossa? Rischi letali per la salute



Golosi di bistecche, cotolette, bacon e polpette sono avvertiti. Mangiare troppa carne rossa o processata fa male alla salute. Secondo un recente studio americano, pubblicato sugli Archives of Internal Medicine e condotto su oltre 500 mila persone, i super-mangiatori di carne corrono più rischi di morire (per tutte le cause) in 10 anni, rispetto a chi si concede meno spesso filetto o fettina.
Ma non è detto..... che ci si debba convertire per forza a un regime vegetariano: infatti un più alto consumo di carne bianca è risultato associato a un rischio ridotto di morte, rispetto a chi si concede con il contagocce piatti di pollo e tacchino.

I ricercatori dell’Us National Cancer Institute hanno indagato sulla dieta di ogni cavia umana arruolata nella ricerca, monitorando la salute del campione per 10 anni. Così gli scienziati hanno scoperto che chi consumava la maggior proporzione di carne rossa o processata (insaccati, salumi, prosciutti) ha un più alto rischio di morte per cause generali, in particolare di ammalarsi di tumore e di cardiopatie rispetto a chi ne mangia di meno.

I grandi consumatori di bistecche e affini, spiegano i ricercatori, sono quelli che ne portano in tavola circa 160 g al giorno. Dall’altro lato della classifica, quelli che ne consumano di meno se ne concedono appena 25 g al giorno, l’equivalente di una fettina di bacon. Al contrario, l’analisi rivela che per i golosi di carne bianca i pericoli letali crollano - come pure quelli relativi a tumori e cardiopatie - rispetto a chi assaggia questi piatti più raramente.
fonte: http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com

lunedì

FARMACI. RISCHIO DI REAZIONI EPATICHE PER L'ATOMOXETINA. GRAVE RITARDO DELL'AIFA



L'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha emesso in data 27/02/2009 un avviso nel quale invita alla massima attenzione al rischio di reazioni epatiche gravi (epatotossicità) in persone che assumono Atomoxetina (Strattera), uno dei due psicofarmaci autorizzati in Italia per il trattamento dell'ADHD. L’AIFA con questo avviso ha ripreso il warning che la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha lanciato a fine gennaio 2009 l’allerta sul rischio di insorgenza di grave danno epatico in soggetti trattati con questo farmaco psicoattivo, warning emesso a seguito di sei segnalazioni di casi di epatotossicità grave riportate nella FDA Drug Safety Newsletter. “Sconcertante il ritardo dell'AIFA - ha commentato Luca Poma, giornalista e Portavoce nazionale di 'Giù le Mani dai Bambini'®, il più rappresentativo comitato di farmacovigilanza pediatrica in Italia - perchè noi abbiamo rilanciato il warning della FDA USA in data 26/01/09, quindi oltre un mese prima dell'AIFA, e questo non è corretto, non può essere un'organizzazione non governativa a supplire alle carenze di chi è deputato a vigilare sulla salute pubblica.


L’Agenzia dispone di stanziamenti e risorse apposite per questo tipo di lavoro, come cittadino mi aspetterei la massima sollecitudine nel ritrasmettere questo genere di comunicazioni alla popolazione ed alla comunità scientifica ed accademica, specie quando parliamo di una questione così delicata come la somministrazione di psicofarmaci a bambini ed adolescenti. Tra l'altro l'AIFA non ha emesso alcun comunicato, ma ha pubblicato la notizia in una zona molto poco accessibile del proprio sito internet, dandogli il minimo risalto possibile, laddove invece la questione è della massima importanza, in quanto almeno un migliaio di bambini italiani assumono ogni giorno questo psicofarmaco". Il Comitato “Giù le Mani dai Bambini” (www.giulemanidaibambini.org) era già intervenuto la scorsa settimana, sollecitando l’AIFA ad una maggiore attenzione sul tema delle sostanze psicoattive per i minori, alla luce del fatto che l’Agenzia aveva ritenuto di non notificare pubblicamente due eventi avversi dell’atomoxetina registrati nel 2008, quando due bambini italiani – una bimba piemontese di 9 anni ed un bimbo sardo di 10 - avevano progettato il suicidio a seguito dell’assunzione della molecola. L’atomoxetina è uno psicofarmaco prescritto anche in Italia per normalizzare il comportamento dei minori iperattivi, da tempo al centro di polemiche per gravi effetti collaterali come l’epatotossicità e l’induzione al suicidio dei giovani pazienti.

di Luca Yuri Toselli
fonte http://consumatori.myblog.it/archive/2009/03/20/farmaci-rischio-di-reazioni-epatiche-per-l-atomoxetina-grave.html

Nuovi farmaci contro la super-Tbc


RICERCA PUBBLICATA SU SCIENCE, 530 MILA CASI OGNI ANNO NEL MONDO
Nuovi farmaci contro la super-Tbc, resistente ai medicinali attualmente disponibili. La scoperta, pubblicata su Science, è frutto di un lavoro internazionale,a cui ha partecipato un gruppo di ricercatori dell'Università di Pavia, guidati da Giovanna Riccardi. Gli italiani hanno identificato il bersaglio cellulare di una nuova classe di farmaci anti-tubercolosi: i benzotiazinoni.
La Tbc, malattia infettiva provocata dal batterio patogeno Mycobacterium tuberculosis, uccide ogni anno 3 milioni di persone in tutto il mondo. Non solo. L'insorgenza di ceppi multiresistenti ai farmaci antitubercolari di prima e seconda generazione, costituisce una minaccia per il controllo della patologia. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno ci verificano sono 530 mila casi circa di super-Tbc. La ricerca, a cui ha partecipato il gruppo di Microbiologia molecolare dell'Università di Pavia, si inserisce in un progetto finanziato dalla Commissione europea (New Medicines for Tuberculosis). Grazie al cospicuo finanziamento ottenuto dalla nostra Università è stato possibile realizzare questa importante scoperta.
Il bersaglio dei benzotiazinoni identificato a Pavia è l'enzima Rv3790, essenziale per la vita del batterio in questione e coinvolto nella sintesi dell'arabinogalattano, un componente principale della parete cellulare micobatterica, fondamentale per questo gruppo di patogeni in quanto è molto più spessa rispetto a quella degli altri microrganismi e determinante per la resistenza agli antibiotici.

fonte http://www.numedionline.it/apps/essay.php?id=9388

Eseguito a Chieti innovativo intervento per la cataratta



Eseguito per la prima volta:ad avanguardia in chirurgia oftalmica

Milano, 20 mar. (Apcom) - Si chiama "Microincisional cataract surgery using torsional technology" ed è l'innovativo intervento per la cataratta, effettuato per la prima volta in Italia presso il Centro regionale di eccellenza in Oftalmologia della Università D'Annunzio di Chieti-Pescara, e presentato questa mattina in una conferenza stampa nella sede dell'Assessorato alla Sanità della Regione Abruzzo.
Il professor Leonardo Mastropasqua, direttore del centro di eccellenza, ha spiegato la tecnica e i vantaggi di questo nuovo intervento chirurgico: "Dopo essere stati all'avanguardia nella chirurgia del trapianto di cornea, oggi abbiamo raccolto una nuova sfida nell'ambito della chirurgia oftalmologica, divenendo i pionieri dell'intervento di cataratta con microincisione e tecnica torsionale. Un ago vibrante - ha spiegato il professore - con effetto spazzolamento, attraverso un microfono di 1,8 mm (invisibile ad occhio nudo), consuma il cristallino catarattoso restituendo assoluta trasparenza. I vantaggi sono notevoli, perchè immediati e tardivi. L'intervento è molto più veloce, non vi è danno termico dei tessuti oculari, non vi è astigmatismo, e la cicatrizzazione è rapidissima".
Finora questa nuova tecnica chirurgica è stata sperimentata, con ottimi risultati, su circa 40 pazienti. "Il paziente a cui impiantiamo una lente multifocale toglie anche gli occhiali per vicino e lontano - ha aggiunto Mastropasqua -. Per noi è una grande soddisfazione essere riusciti ad effettuare per primi questo intervento chirurgico, che nel futuro avrà larghissima diffusione".
L'assessore alla Sanità, Lanfranco Venturoni, ha espresso entusiasmo e compiacimento per questo ulteriore progresso della chirurgia abruzzese. "E' un segnale che indica che stiamo proseguendo nella direzione giusta. In un momento in cui la Sanità in Abruzzo è nell'occhio del ciclone, è importante evidenziare come nella nostra Regione ci siano e lavorino professionalità di livello".

fonte http://notizie.virgilio.it/notizie/cronaca/2009/03_marzo/20/salute_eseguito_a_chieti_innovativo_intervento_per_la_cataratta,18443820.html

Rimedi contro l'insonnia



Ogni anno in Italia aumenta il numero di persone che soffrono d'insonnia, i rimedi per questo disturbo sono diversi, ma ultimamente quelle che vanno per la maggiore sono la cromoterapia e lo yoga. La cromoterapia sembra essere una cura molto usata perché non pretende grossi sacrifici da parte del paziente. Questa terapia si basa sull'osservazione di colori, per chi soffre d'insonnia i colori suggeriti sono le tonalità di verde, blu, azzurro e del viola. I colori vanno sistemati naturalmente nella camera da letto, nelle pareti, nel soffitto nelle lenzuola e anche il nella propria biancheria. Nel caso in cui si è affezionati alla propria camera così com'è si può sempre ricorrere all'installazione di alcune lampade colorate. Questa terapia esiste dall'antichità, gli attuali cromoterapeuti affermano che i colori stimolano i diversi stati d'animo a seconda della lunghezza d'onda. Un altro sistema molto efficace che attira molti insonni è lo yoga. All'Istituto Scientifico San Raffaele di Milano e all'Università di Chicago affermano che sono necessarie almeno 8 ore di sonno al giorno per mantenersi sani e con una buona salute, ma la vita di oggi ci sottopone ad uno stress molto alto e non sempre è possibile. Un rimedio alternativo alla cromoterapia può essere quindi lo yoga, il quale garantisce (se praticato nel modo corretto) in 30 minuti un beneficio fisico e psicologico pari a 3 ore di sonno.

fonte http://www.universonline.it/_sessoesalute/salute/02_01_16_a.php

PORTA SEGRETA CERVELLO FA ENTRARE SCLEROSI MULTIPLA




ROMA - Una porta d'accesso al cervello finora considerata secondaria è in realtà il passaggio segreto che apre la via alla sclerosi multipla e molto probabilmente ad altre malattie autoimmuni, nelle quali il sistema immunitario aggredisce l'organismo al quale appartiene. La scoperta, che potrebbe aprire la strada a nuove vie per la terapia, è pubblicata sulla rivista Nature Immunology ed è firmata quasi interamente da italiani. Due degli autori fanno parte della classifica dei 20 immunologi più citati al mondo: sono la coordinatrice della ricerca, Federica Sallusto, che lavora in Svizzera presso l'Istituto di Ricerca in Biomedicina (Irb) di Bellinzona, e Antonio Lanzavecchia, direttore dell'Irb. Tra gli altri autori ci sono Andrea Reboldi, dottorando presso l'Irb, e Antonio Uccelli, che nell'università di Genova ha dimostrato che il meccanismo osservato nei topi ha un corrispettivo nell'uomo. La ricerca è stata realizzata anche grazie al finanziamento della Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (Fism).

- INVASIONE IN DUE TEMPI: ad aprire la strada alla sclerosi multipla e probabilmente a malattie simili è una staffetta di cellule immunitarie. In un primo momento, attraverso un passaggio segreto penetra nel cervello una prima ondata di cellule, i linfociti T che producono l'interleuchina 17 (Th-17), scoperti appena tre anni fa. I linfociti Th-17 si legano quindi al loro recettore (Ccr6) e aprono la strada ad una seconda ondata di cellule Th-17, che questa volta entrano dalla porta principale, la barriera emato-encefalica.

- IL PASSAGGIO SEGRETO: è il plesso corioideo, la matassa di vasi sanguigni nella quale viene prodotto il liquido spinale. La sua esistenza era nota, spiegano gli autori della ricerca, ma era considerata una "porta di servizio", secondaria rispetto al portone principale, la barriera emato-encefalica. "Invece è un passaggio segreto molto importante", osservano Sallusto e Lanzavecchia. E' da lì che entrano le prime cellule sabotatrici che scatenano la malattia.

- ARMA CONTRO SCLEROSI MULTIPLA: per ora si intravede un'idea: "bloccare il recettore Ccr6 che fa insediare nel cervello la prima ondata di cellule immunitarie, ossia bloccare la prima ondata per bloccare la malattia", spiega Lanzavecchia. Per Sallusto "le ricadute saranno importanti per la sclerosi multipla" perché bloccare la prima ondata di cellule potrebbe avere un effetto terapeutico: è una strada da esplorare, anche perché il Ccr6 è un bersaglio relativamente semplice" e sono già noti anticorpi e alcune molecole in grado di bloccarlo.

- ALTRE MALATTIE NEL MIRINO: per Sallusto lo stesso meccanismo potrebbe essere coinvolto in altre malattie autoimmuni, come l'artrite reumatoide, e nelle infiammazioni.

- LE RONDE DEL CERVELLO: a usare il passaggio segreto potrebbero essere, oltre alle cellule "cattive", anche cellule immunitarie utili, come quelle che compongono le "ronde" che pattugliano l'organismo in cerca di tumori e infezioni. Questo fenomeno, chiamato immunosorveglianza, è noto in alcuni organi e ci sono buone possibilità che potrebbe essere attivo anche nel cervello.

di Enrica Battifoglia
fonte http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_928572199.html

domenica

La terapia può spingere a gioco d'azzardo, shopping compulsivo ed eccessi nel cibo e nella vita sessuale



Sono oltre 200 mila le persone colpite dalla malattia di Parkinson nel nostro Paese. E i farmaci a base di dopamina, che riescono ad assicurare un buon controllo sui sintomi della malattia, sono accusati di scatenare comportamenti compulsivi nei pazienti: gioco d’azzardo, shopping incontrollato, eccessi nel rapporto con il cibo e nella vita sessuale sono stati riscontrati in una percentuale di circa il 10% dei soggetti.

Ricerche effettuate presso il Centro Parkinson degli Icp di Milano mostrano chiaramente che il gioco d’azzardo è associato a una eccessiva stimolazione indotta dai farmaci antiParkinson dell’emisfero cerebrale di destra, quello della creatività. E proprio in occasione del 31° convegno nazionale dell’Associazione italiana parkinsoniani – dove gli esperti si sono ritrovati per fare luce sui fatti di cronaca più recenti e per informare i pazienti anche sulle nuove prospettive aperte dalle cellule staminali nel trattamento di questa malattia – è emerso che è compito del neurologo individuare i soggetti a rischio e prevenire lo svilupparsi di questi comportamenti approfondendo i tratti che possono portare poi allo sviluppo di disturbi dell’autocontrollo. Senza dimenticare che esistono anche percorsi di sostegno psicologico sia per i pazienti sia per i loro familiari.

La malattia di Parkinson è una patologia molto grave che va curata agendo su più fronti, tra cui il trattamento con i farmaci. Questi hanno un ruolo fondamentale perché aiutano i pazienti a superare la rigidità, il tremore e il rallentamento dei movimenti, migliorandone la qualità di vita. La terapia consiste nella somministrazione di dopaminoagonisti e di un precursore della dopamina, la Dopa. Sul fronte della ricerca, l’uso di cellule staminali per la cura della malattia di Parkinson può aprire la strada a nuove terapie da affiancare al tradizionale trattamento farmacologico dei pazienti. «La speranza per il futuro sono le cellule staminali adulte: quelle della stessa persona possono infatti andare a rigenerare i neuroni morti», conferma Gianni Pezzoli, presidente dell’Associazione italiana parkinsoniani (Aip) e della Fondazione Grigioni, direttore del Centro Parkinson degli Istituti clinici di perfezionamento di Milano. «Sulla scia di quanto accade già in altri Paesi, anche in Italia sono state avviate delle sperimentazioni su pazienti, non riconosciute però dalla scienza ufficiale». S.B.

Collo troppo grasso correlato a rischio infarto più alto


Misura ideale: 40.5 cm per maschi, 34.2 per donne


Roma, 13 mar. (Apcom) - La misura del collo diventa un nuovo fattore di rischio cardiovascolare. O meglio la misura di quella gibbosità , o gobbetta adiposa, che si trova alla base posteriore del collo informa del grado di livello di rischio cardiaco di una persona. Un indice che ha lo stesso valore del giro vita, che per un uomo non deve superare i 102 centimetri. E' quanto hanno comunicato ricercatori americani dell'MRC Clinical Sciences Centre al convegno organizzato dall'American Heart Association. Lo studio che ha coinvolto 3.300 individui tra donne e uomini con un' età intorno ai 50 anni, dice che il rischio esiste a vari livelli anche se il giro vita è nella norma e che può essere più basso se il cosiddetto colesterolo buono (HDL) è alto e basso, se i livelli di glucosio nel sangue sono alti.

Jimmy Bell, uno dei ricercatori, ha detto che nell'ambito di questa ricerca sta scoprendo molte cose, come ad esempio, che la salute dipende non tanto da quanto si è grassi, quanto, piuttosto, dove il grasso è localizzato. "Anche una persona molto magra, può nascondere accumuli di grasso insidiosi all'interno del suo corpo, come intorno al fegato o al cuore". Per quanto riguarda il collo la circonferenza ideale per gli uomini dovrebbe essere di 40.5 centimetri per l'uomo e 34.2 centimentri per le donne . Se queste misure crescono, cresce anche il rischio. Per ogni 3.3 cm. in più sul collo, gli uomini hanno 2.2 milligrammi in meno di colesterolo buono per decilitro di sangue (mg/dl) e le donne 2.7 mg/dl. Il colesterolo HDL (High Density Lipoprotein) tiene pulite le cellule delle arterie dal grasso, che viene rimandato indietro nel fegato, dove viene metabolizzato ed eliminato.

Se un uomo ha meno di 40mg/dl e una donna meno di 50 mg/dl il rischio di infarto si fa più alto, dicono i ricercatori. Inoltre, hanno ribadito, la misura del collo non fa differenza per i livelli di colesterolo cattivo LDL (Low density lipoprotein) che può causare danni, ma non influisce sui livelli di glucosio. Per i maschi per ogni 3 cm in più si è visto, analizzando il campione, che ci sono in più 3.0 mg/dl di LDL e per le donne 2.1 mg/dl. Per le persone che avevano sia un giro vita fuori misura , sia un collo più grosso i due fattori di rischio sono stati combinati insieme. Secondo Bell per eliminare il grasso localizzato sia esso intorno al fegato o al cuore o in altre parti del corpo le diete non valgono, ma ci vuole esercizio fisico.


fonte: http://notizie.virgilio.it/notizie/scienze_e_tecnologie/2009/03_marzo/13/salute_collo_troppo_grasso_correlato_a_rischio_infarto_piu_alto,18352790.html

Le conquiste della chirurgia spinale



di Luigi Cucchi

La chirurgia spinale dispensa miracoli. Tornano alla normalità vecchi non più in grado di assumere una posizione eretta, condannati in una sedia a rotelle o con una autonomia limitata a pochi passi. Esplodono le patologie degenerative. L'invecchiamento della popolazione moltiplica malattie come l'Alzheimer o il Parkinson e crea un esercito di pazienti con problemi alla colonna lombare, dorsale, cervicale. L'intervento del neurochirurgo è sempre più necessario: toglie il dolore e fa recuperare al paziente la funzionalità. In Lombardia la chirurgia spinale è sviluppata: già ora si effettuano oltre 13mila interventi all'anno, un numero destinato a crescere per l'invecchiamento della popolazione e in quanto ai 9,5 milioni di lombardi si aggiungono migliaia di pazienti provenienti da altre regioni. Parliamo dello stato dell'arte della neurochirurgia spinale con il professor Maurizio Fornari, docente all'università di Milano, dirige dal Duemila il dipartimento di neurochirurgia (venti medici di cui otto neurochirurghi: con il suo team esegue oltre 1300 interventi chirurgici all'anno) dell'Istituto Galeazzi, un centro che oggi, nella sua veste di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, è un gioiello della sanità italiana ed europea sia nell'area ortopedica, sia per le patologie croniche spinali e funzionali.
Fornari, nato a Milano nel 1950, dopo la laurea e la specializzazione, si è formato a New York al Mount Sinai Hospital e poi, dal 1975 al Duemila, al Centro Neurologico Besta di Milano. 

«Con l'invecchiamento - precisa - molti anziani accusano una stenosi lombare, cioè il restringimento del canale spinale con compressione delle radici nervose. Questa patologia (che determina la claudicatio neurogena) è fortemente invalidante: dolori insopportabili rendono impossibile camminare dopo poche centinaia di metri. Un trattamento farmacologico o fisioterapico, non basta. Si deve ricorrere alla chirurgia che in questi ultimi anni si è evoluta adottando metodiche incruenti come la microdecompressione con approccio monolaterale, cioè che non richiede più la temuta laminectomia, una procedura ben più demolitiva. Grazie a queste metodiche il paziente si alza il giorno stesso dell'intervento e viene dimesso il giorno dopo con una veloce ripresa funzionale. Al Galeazzi abbiamo curato migliaia di casi ed ora disponiamo della più grande casistica al mondo, i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of Neurosurgery, la più autorevole pubblicazione scientifica internazionale. L'altra patologia temibile, a volte associata alla stenosi - prosegue il professor Fornari - è rappresentata dalla instabilità lombare o spondilolistesi lombare. È caratterizzata dalla instabilità della colonna vertebrale: le vertebre lombari tendono a scivolare in avanti. È una patologia, frequente dopo i 65 anni, che provoca dolori lombari insopportabili, tali da non consentire la posizione eretta. Il rimedio è rappresentato dall'applicazione di fissatori interni in titanio che riallineano e stabilizzano la colonna con completa ripresa funzionale. Questa chirurgia è divenuta meno rischiosa ed invasiva grazie all'aiuto di sistemi di guida computerizzata».

L'Istituto Galeazzi si è dotato, secondo in Europa, di un sistema di navigazione spinale e di una TAC intraoperatoria (attiva durante l'intervento) con una completa informatizzazione dell'imaging del malato e delle esecuzioni delle procedure. Il paziente lascia l'ospedale dopo 2-3 giorni dall'intervento e riprende le normali attività. Solo dieci anni fa questi casi di stenosi e di spondilolistesi erano considerati inoperabili. «Anche a livello cervicale - aggiunge Fornari - la patologia dominante è la stenosi, cioè la proliferazione dei fenomeni degenerativi e artrosici che comprimono il midollo spinale cervicale. Il quadro clinico può variare da una paraparesi (spasticità alle gambe) alla tetraparesi (coinvolgimento anche delle braccia). La procedura chirurgica che va eseguita è la decompressione prevalentemente per via anteriore, con successiva stabilizzazione con fissatori interni in titanio. Anche a livello cervicale Tac intraoperatoria e sistemi informatizzati hanno reso questi interventi meno invasivi, precisi, sicuri. I pazienti sono dimessi, anche dopo le operazioni più complesse, in prima giornata con l'ausilio di un collare. Un capitolo di attualità è il trattamento delle fratture da osteoporosi. In questi casi si ricorre a procedure mininvasive, percutanee, di vertebroplastica (iniezioni di cemento) o di cifoplastica. Il continuo aumento dell'età media della popolazione moltiplicherà le esigenze di trattamento della colonna degenerativa. Nuove soluzioni saranno fornite dalla ricerca con colture cellulari, cellule staminali, fattori di crescita». Ad inizio aprile si terrà al Galeazzi il «Third International Symposium on advanced spinal surgery», organizzato dal professor Antonio Zagra, ortopedico direttore del reparto di chirurgia spinale I, e dallo stesso dottor Maurizio Fornari.

sabato

Tumori: nel cervello una molecola complice delle metastasi


Una particolare proteina del cervello, finora conosciuta perchè favorisce l’adesione tra le cellule nervose, in realtà ha un ruolo molto importante anche nel sistema immunitario e per le metastasi, scoperta che apre la strada a nuove terapie contro i tumori e le patologie autoimmuni.
La ricerca arriva dal lavoro di Ugo Cavallaro, direttore del programma Adesione cellulare al Campus Ifom-Ieo di Milano, in collaborazione con Maria Rescigno, del dipartimento Oncologia dell’Ieo.
Nello studio, pubblicato sul Journal of Experimental Medicine, i ricercatori hanno visto che dopo uno stimolo infiammatorio anche le cellule che rivestono i vasi sanguigni (e quindi non solo il cervello) iniziano a produrre la molecola 'adesivà L1, che fa da ponte di collegamento tra le cellule dei vasi e le cellule del sistema immunitario (dendritiche). Questa scoperta apre a nuove terapie per diverse patologie: «Nel caso di risposta immunitaria eccessiva, come nelle malattie autoimmuni – spiega Cavallaro – sarebbe possibile prevenire l'interazione tra cellule dendritiche e parete vascolare neutralizzando L1 con uno specifico anticorpo». Più vicina anche l’individuazione di nuovi bersagli farmacologici contro il cancro: «Alcuni tumori come il cancro al colon, il melanoma e il carcinoma ovarico – precisa Cavallaro – esprimono alti livelli di L1 che sono correlati con l’invasione e le metastasi del tumore. Spesso le cellule tumorali usano meccanismi molto simili a quelle del sistema immunitario per entrare nei vasi sanguigni e metastatizzare, per cui inattivare L1 potrebbe rappresentare una valida strategia anti-disseminazione».
La ricerca è stata condotta grazie al sostegno tra gli altri dell’Associazione italiana ricerca cancro, Telethon, Fondazione Cariplo, Ministero della salute e Association for international cancer research.

fonte:http://www.gazzettadiparma.it/primapagina/dettaglio/11/15641/Tumori:_nel_cervello_una_molecola_complice_delle_metastasi.html


Farmaco dimezza il rischio di ictus: nuove evidenze


Sanihelp.it - Una nuova analisi sullo studio Jupiter illustra nel dettaglio i risultati sull’ictus stratificati per sesso, etnia e fattori di rischio basali. 

Secondo tali dati, presentati all’International Stroke Conference di San Diego, in California, il farmaco rosuvastatina 20 mg è in grado di dimezzare il rischio di eventi cardio-cerebrovascolari, tra cui l'ictus, riducendone l'incidenza del 48%, con significatività statistica rispetto al placebo, negli uomini e nelle donne che, pur avendo livelli di colesterolo normali, hanno tuttavia livelli elevati di hsCRP, un importante marker di infiammazione.

L'analisi valuta l'efficacia di rosuvastatina 20 mg in diversi sottogruppi, in particolare gli anziani over-70, i fumatori, gli ipertesi e i soggetti a rischio cardiovascolare elevato secondo il punteggio Framingham, tutti con livelli basali di proteina-C reattiva pari o superiori a 5 mg/L. 
L’uso di rosuvastatina non ha aumentato il rischio di ictus emorragico ed è risultato ben tollerato in circa 9.000 pazienti esaminati nel corso dello studio JUPITER.

L’ictus è la terza causa di morte nei paesi sviluppati. Nel mondo, ogni anno, colpisce 15 milioni di persone uccidendone 5 milioni, lasciandone altre 5 afflitte da invalidità permanenti quali paralisi, deficit cognitivi, problemi dell’eloquio, difficoltà emotive, problemi nella gestione quotidiana della vita e dolore. 

I risultati iniziali dello studio Jupiter, presentati per la prima volta nel novembre del 2008 al Congresso Scientifico Annuale dell’American Heart Association e pubblicati dal New England Journal of Medicine, hanno associato all’assunzione di rosuvastatina 20 mg una riduzione significativa degli eventi cardiovascolari maggiori (rischio combinato di infarto miocardico, ictus, rivascolarizzazione arteriosa, ricovero per angina instabile o morte per cause CV) pari al 44%, rispetto al placebo. Inoltre, in base a questi risultati, il rischio combinato di infarto del miocardio, ictus o morte per cause CV nei pazienti in terapia con rosuvastatina 20 mg nello studio clinico si è ridotto di quasi la metà. 
  
Fonte: Jupiter - Justification for the Use of statins in Primary prevention: an Intervention Trial Evaluating Rosuvastatin

"Un vaccino contro la cocaina"



Obiettivo però ancora lontano

Il ricercatore riminese Antonello Bonci ha scoperto la "memoria della dipendenza" dalle droghe che persiste per anni e anni dall'ultima dose. Per combattere le dipendendenze in futuro si potrà far ricorso alla farmacogenomica per trovare terapie legate al codice genetico individuale

Rimini, 16 gennaio 2009 - Non chiedetegli se è tornato in Italia prima per salutare Rimini e poi per seguire il Convegno nazionale del Dipartimento politiche antidroghe a Trieste o viceversa. Probabilmente lo mandereste in crisi, diviso com’è fra l’amore per la sua città natale e la passione per la ricerca che lo ha portato a soli 41 anni a dirigere uno dei più importanti laboratori statunitensi per lo studio dei meccanismi alla base di ogni dipendenza.

In particolare Antonello Bonci, da dieci anni all’Ernest Gallo Clinic di San Francisco, ha scoperto la "memoria della dipendenza" dalle droghe che si forma nel cervello dell’individuo che assume stupefacenti e persiste per anni e anni dall’ultima dose, rendendolo sempre suscettibile a ricadute. Bonci nei giorni scorsi è tornato in Italia nelle vesti di coordinatore scientifico del Comitato contro le droghe voluto dal sottosegretario della Presidenza del Consiglio, Carlo Giovanardi.

I risultati della conferenza di Trieste?
"E’ già un successo aver riunito i ricercatori italiani e statunitensi e aver presentato i risultati ottenuti nei due paesi. Abbiamo messo assieme il meglio nel campo della ricerca. " Si ha sempre l’idea che gli Usa non abbiano nulla da imparare dall’Italia..."In Italia vi sono due aspetti interessanti per i ricercatori: primo, il sistema sanitario nazionale che intercetta migliaia e migliaia di tossicodipendendi dando così modo di lavorare su campioni significativi; secondo, la stanzialità dei soggetti in esame. In America i pazienti per un anno sono a S. Francisco, poi si traferiscono a New York, poi finiscono a Miami: seguire i loro progressi è praticamente impossibile. La stanzialità aiuta moltissimo i ricercatori".

Quali sono le nuove frontiere della ricerca contro le droghe, in particolare la cocaina?
"Si chiama farmacogenomica e si prefigge di trovare terapie su misura legate al codice genetio dell’individuo".
Come a dire che la dipendenza è nel nostro dna? "No, sono tantissimi i fattori che incidono, in primis l’ambiente in cui si è cresciuti, l’educazione, l’ambito familiare... ma è innegabile che di fronte al primo ‘spinello’, per esempio, assistiamo a reazioni diversissime, legate al nostro corredo genetico. E’ lo stesso principio che fa sì che gli antidepressivi abbiano effetti molto diversi da paziente a paziente".

E guardando più in là?
"Un vaccino contro la cocaina. Ma non vorrei che passasse un messaggio sbagliato. Se ne parlerà, forse, fra vent’anni. Nel frattempo state alla larga dalla droga. Ogni droga".

venerdì

Ok AIFA per Thalidomide Celgene



(Teleborsa) - Roma, 16 mar - Si è concluso positivamente, anche nel nostro Paese, il complesso iter di approvazione della talidomide. Questo farmaco, noto per i gravi effetti teratogeni sulle donne in gravidanza, negli ultimi anni si è rivelato efficace nella cura del mieloma multiplo offrendo nuove prospettive terapeutiche ai pazienti. Lo si legge in una nota di Celgene. Si tratta di una formulazione orale, in capsule, classificata come farmaco ospedaliero, di tipo Osp 2. L'approvazione da parte dell'Agenzia Italiana del Farmaco - AIFA - è frutto di un attento esame dell'evoluzione delle conoscenze sulla talidomide, ma anche di un'accurata attività di farmacovigilanza e di un rigororoso piano di gestione del rischio e di prevenzione della gravidanza.
Il 24 gennaio 2008 il Comitato per i prodotti medicinali per uso umano dell'EMEA (CHMP) aveva formulato parere positivo sull'autorizzazione alla vendita di THALIDOMIDE CELGENE in Europa, previa adozione di un adeguato programma di gestione dei rischio e di prevenzione della gravidanza, che potesse garantire una distribuzione controllata del farmaco. Il 21 aprile 2008, la Commissione Europea aveva poi concesso a talidomide l'autorizzazione all'immissione in commercio, per l'uso in associazione con melfalan e prednisone per il trattamento di prima linea di pazienti con mieloma multiplo (MM) non trattato di età =65 anni o non idonei a chemioterapia a dosi elevate. Questo farmaco ha ricevuto la designazione quale medicinale orfano in data 20 Novembre 2001 (Community Register for OMP EU/3/01/067.) per l'indicazione "Trattamento del Mieloma Multiplo". Tale designazione è stata riconfermata nel febbraio 2008.
La talidomide Thalidomide CelgeneTM, farmaco sperimentato, sviluppato e commercializzato da Celgene Corporation, è stato approvato dall'autorità regolatoria statunitense Food and Drug Administration (FDA) il 25 maggio 2006 come THALOMID®, quale terapia orale in associazione a desametasone in pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi. Nel 2008 l'autorità Australiana Australian Drug Evaluation Committee (ADEC) ha accordato a talidomide l'autorizzazione all'immissione in commercio per l'uso in associazione con melfalan e prednisone in pazienti affetti da mieloma multiplo non pretrattato, non candidabili alla chemioterapia ad alto dosaggio. Inoltre talidomide ha ricevuto l'autorizzazione all'immissione in commercio per l'uso in associazione con desametasone nella terapia di induzione che precede la chemioterapia ad alte dosi con raccolta di cellule staminali autologhe, nell'ambito del trattamento di pazienti affetti da mieloma multiplo non pretrattato. Nel 2003, infine, l'ADEC aveva approvato talidomide per il trattamento di pazienti con mieloma multiplo non responsivi alle terapie standard. A talidomide è stato accordato, nel 1998, l'approvazione da parte dell'FDA per il trattamento delle manifestazioni cutanee acute dell'eritema nodoso leproso (ENL) moderato o grave, e come terapia di mantenimento per la prevenzione e la cura delle manifestazioni cutanee nei casi di ENL ricorrente. Un'analoga autorizzazione era stata accordata a talidomide nel 2003 dal TGA (Therapeutic Goods Administration), l'agenzia regolatoria australiana a cui l'ADEC fa riferimento. La talidomide non è indicata come ionoterapia per il trattamento dell'ENL in presenza di neuropatia da moderata a grave. 

Nucleare e medicina, innovazione senza rischi


chitiSi continua a parlare di nucleare come fonte energetica possibile ed auspicabile e il dibattito sui rischi-benefici sotto questo aspetto è controverso. Un settore, però, nel quale il nucleare viene utilizzato già da diversi anni ed ha portato una vera innovazione tecnologica senza incorrere in rischi è proprio la medicina. In particolare, si tratta della medicina nucleare applicata alla diagnostica. In questo campo la PET - Positron Emission Tomography, cioè Tomografia ad Emissione di Positroni, per esempio, ha rappresentato una grande evoluzione, consentendo di approfondire indagini altrimenti impossibili, soprattutto in ambito oncologico. Ma altre importanti indagini erano già eseguite da molti anni, come le scintigrafie. L'importante è che ogni esame di medicina nucleare segua regole ben precise e venga eseguito in locali specificatamente attrezzati proprio per evitare i possibili rischi, seppur minimi, legati alla radioattività. Ne abbiamo parlato con il dott. Arturo Chiti, Responsabile di Medicina Nucleare dell'Istituto Clinico Humanitas.

Dott. Chiti, la medicina nucleare consente indagini altrimenti impossibili?
"La medicina nucleare rappresenta un branca importante della medicina e consente di eseguire indagini impossibili con altre tecniche. Per esempio, la PET in oncologia permette di diagnosticare la presenza di tumori anche molto piccoli, difficili o impossibili da rilevare con altre tecniche, e di valutare accuratamente l'estensione della massa tumorale per avere informazioni sull'andamento di una cura. La scintigrafia miocardica, per fare un altro esempio, è in grado di valutare accuratamente quanto sangue arriva al cuore attraverso le coronarie. In caso di tumori, la scintigrafia ossea e' in grado di rilevare la presenza di metastasi. Ma non dimentichiamo che i radiofarmaci sono anche impiegati con successo per la terapia di alcuni tumori e per curare gli ipertiroidismi. Naturalmente in questi casi vengono utilizzati radiofarmaci diversi, studiati appositamente per emettere radiazioni che possano colpire selettivamente le cellule tumorali".

Si corrono rischi nell'esecuzione di questi esami?
"Si tratta di esami semplici, non invasivi e privi di rischi. Alla persona viene iniettato nella vena un radiofarmaco, cioè un farmaco in grado di emettere radiazioni. Queste consentono al medico di seguirne il cammino attraverso gli organi, come se fosse ‘una lampadina accesa'. Le apparecchiature con cui si rilevano le radiazioni non ne producono di ulteriori, ma semplicemente registrano quelle che vengono emesse dalla persona e producono le immagini, visibili sul computer, che successivamente vengono studiate dal medico. Al termine dell'esame, la persona può tranquillamente tornare alle proprie abitudini di vita quotidiana. A seconda del tipo di esame e del radiofarmaco utilizzato, si possono richiedere particolari attenzioni, cioe' di stare lontano per alcune ore da bambini o donne in gravidanza. Questa precauzione è necessaria proprio perché il radiofarmaco richiede qualche ora per decadere ed essere completamente eliminato, per cui si richiede particolare attenzione per evitare di sottoporre a inutili radiazioni il feto o i bambini piccoli".

La radioattività non ha controindicazioni per la persona?
"Non si tratta assolutamente di indagini pericolose. La quantità di radioattività iniettata, infatti, è molto bassa. Chiunque può essere sottoposto ad uno studio di questo genere, dal neonato alla persona anziana, dopo precisa valutazione del medico specialista in Medicina Nucleare, fatta eccezione per le donne in gravidanza, per evitare di sottoporre il feto a inutili radiazioni, seppure minime. Se, invece, la gravidanza dovesse arrivare anche a breve distanza di tempo dall'esecuzione dell'esame, non ci si deve preoccupare perché non esiste un rischio significativo per il feto. Per lo stesso discorso, anche durante il periodo dell'allattamento è necessario che le donne segnalino al medico questa circostanza per ricevere istruzioni sul periodo della necessaria interruzione, in modo da evitare che la sostanza in circolo nell'organismo della donna passi inutilmente, attraverso il latte, al bambino appena nato e in fase di crescita".

E per i tecnici e medici vi sono rischi? I locali dove operano devono essere schermati?
"Il personale che opera nei reparti di Medicina Nucleare, sia per la diagnosi che per la terapia, è istruito sulle procedure da seguire e su come lavorare minimizzando i rischi legati all'esposizione alle radiazioni. Gran parte delle operazioni necessarie per la preparazione dei radiofarmaci è automatizzata, per cui gli operatori possono lavorare in sicurezza. Oltre a questo, tutte le sorgenti radioattive sono schermate con piombo o tungsteno, fino al momento in cui il radiofarmaco viene somministrato al paziente. Naturalmente tutte le pareti esterne ed interne del reparto di Medicina Nucleare sono schermate, in modo da fermare le radiazioni emesse dai radiofarmaci e dai pazienti a cui questi sono stati somministrati".

I farmaci radioattivi dove vengono eliminati?
"Dopo la somministrazione, gran parte dei radiofarmaci vengono eliminati con le urine dei pazienti. Per questo nei reparti di Medicina Nucleare sono presenti dei servizi igienici dedicati, collegati a vasche apposite dove vengono raccolte le loro deieizioni. Le vasche sono alloggiate in locali schermati e non accessibili. Un sistema di controllo computerizzato misura il livello di radiazioni presente nelle vasche e, solo quando è praticamente nullo, consente di scaricare nel sistema fognario i liquidi raccolti. Gli altri rifiuti prodotti, potenzialmente radioattivi, come siringhe, medicazioni, eccetera, vengono raccolte in contenitori appositi, a loro volta sistemati in depositi dedicati schermati. Dopo un certo periodo di tempo, dipendente dal tipo di radiofarmaco, i contenitori vengono misurati e, se il livello di radiazioni è nullo, vengono eliminati con gli altri rifiuti ospedalieri. Esiste, infine, un sistema elettronico che misura ogni singolo contenitore che esce dall'ospedale, al fine di evitare che rifiuti radioattivi possano incidentalmente essere eliminati nell'ambiente. Alcuni rifiuti, che decadono in molto tempo, vengono affidati ad aziende specializzate che provvedono allo stoccaggio e al successivo smaltimento secondo la norma di Legge. Infine, deve essere sottolineato che tutti i locali dove vengono prodotti e conservati radiofarmaci sono soggetti a controlli di sicurezza, così da evitare utilizzazioni indebite". 


A cura di Lucrezia Zaccaria

fonte:http://www.humanitasalute.it/index.php/salute-e-attualita/notizie-dal-mondo/4870-nucleare-e-medicina-innovazione-senza-rischi

«Vi spiego il confine tra vita e morte»


Una dieta rigorosa e il movimento donano longevità 
La scienza può portare a 120 anni, ma morire è un diritto

Alessandro Cecchi Paone per il Magazine

Umberto Veronesi, oncologo e senatore
Umberto Veronesi, oncologo e senatore
Al Senato si discute in questi giorni la controversa legge sul testamento biologico che, dopo le polemiche sul caso Englaro, dovrebbe regolare la zona grigia di sofferenza in cui si trovano centinaia di italiani in stato vegetativo. In questa intervista destinata alla tv, il professor Umberto Veronesi difende la piena libertà di scelta e di coscienza dell’individuo.

Il professor Umberto Veronesi è appena tornato da un viaggio lampo negli Stati Uniti per un congresso internazionale di oncologia. 
Lei è vicino agli 85 anni, ma non sta fermo un minuto. Quando non è in viaggio in Italia e all’estero, al mattino opera i suoi pazienti dell’Istituto Europeo di Oncologia che dirige a Milano, all’ora di pranzo riceve i collaboratori della Fondazione che porta il suo nome, il pomeriggio visita, la sera va al cinema che è una sua grande passione. C’è un segreto? 
«A parte una buona eredità genetica, che non è merito mio, sono certo che molto dipenda dalla vita regolare che faccio da sempre e dalla dieta che ho adottato. E poi dalla passione per quel che faccio che mi dà una spinta continua, alimentando motivazioni sempre nuove per restare attivo».

In che consiste questa dieta miracolosa? 
«Non è miracolosa, ma molto rigorosa. Tanta frutta fresca, verdura e legumi, un po’ di pesce ogni tanto, mai carne».

Perché ce l’ha tanto con la carne? 
«Per motivi morali da un lato e igienico-sanitari dall’altro. Sono cresciuto in una cascina contadina nelle campagne intorno a Milano, in mezzo ai vitellini, agli agnelli, ai maialini, imparando che ti riconoscono, si affezionano, e così decisi molto presto che non avrei mai potuto mangiarli. Ma c’è anche una ragione umanitaria, maturata più tardi: per allevare gli animali necessari ad alimentare la dieta carnivora che prevale nei paesi ricchi sono necessarie gigantesche quantità di cereali, acqua e terreni, che vengono sottratte a quel miliardo di persone nel mondo che muoiono di fame e di sete. E poi c’è il ruolo della carne, soprattutto se carbonizzata in superficie, nella genesi del tumore del colon e in generale nelle patologie del metabolismo legate all’iperalimentazione».

Nel suo studio all’Istituto c’è una bicicletta da corsa. Vuol dire che anche in età avanzata bisogna fare molto sport? 
«No, non molto, poco ma ben fatto, senza forzare e rischiare traumi. Fa bene stare sempre in movimento, camminare, non impigrirsi. Anche per questo dormo poco, quel che basta per ricaricarmi».

Non sarà che continua a fare così tante cose anche perché pure lei ha paura di morire, come tutti? 
«Come a tutti anche a me non piace l’idea di dover morire. Ma fin da bambino con la morte ho fatto i conti prima degli altri. Mio padre è morto che ero molto piccolo, da giovane partigiano antifascista sono rimasto ferito in azione, la scelta di diventare oncologo mi ha costretto, all’inizio della mia vita di medico, a occuparmi soprattutto di malati terminali senza speranza».

Come l’hanno cambiata quelle esperienze così dolorose? 
«Da una lato mi hanno indotto a fare di tutto, a impegnarmi al massimo. Perché il cancro non fosse più necessariamente sinonimo di morte sicura. Dall’altro mi hanno fatto capire che la morte si può allontanare ma non evitare. Anzi, che morire è anche un dovere».

Come sarebbe a dire un dovere? 
«Sì, anche un dovere. Prima o poi, dobbiamo lasciare a chi viene dopo di noi lo spazio, le risorse per svilupparsi liberamente. In natura la morte è una necessità per preservare il ciclo vitale da cui dipendono tutti gli esseri viventi. Diciamo che la morte è un fatto naturale che dobbiamo accettare».

Lei ha curato migliaia di pazienti, moltissimi sono guariti, altri, in attesa delle terapie definitive capaci di sconfiggere tutti i tipi di tumori, sono morti, purtroppo. Tra questi ultimi chi ha affrontato meglio quella che lei chiama un fatto naturale? 
«Sembra paradossale, ma ho visto morire meglio, più serenamente i non credenti, probabilmente perché si preparano all’eventualità per tempo, ci pensano quando impostano il loro progetto di vita sapendo che non avrà sviluppi ulteriori dopo la fine. Applicano una sorta di laicismo stoico. Paradossalmente, invece, molti credenti ci arrivano più spaventati, non so perché».

Secondo lei, però, morire non è solo un dovere ma anche un diritto, visto che per primo ha avviato in Italia il dibattito sul testamento biologico. 
«Certo! Morire è un dovere biologico, nel senso che abbiamo detto prima, ma anche un diritto etico. La libertà dell’individuo, del cittadino, deve riguardare non solo il suo progetto di vita, ma anche il suo progetto di morte. Deve essere riconosciuta a tutti la libertà di scelta e di coscienza anche in questo. La scienza e le tecnologie della medicina non possono evitare la morte ma possono allungare la vita anche per decenni. È giusto riconoscere a chi lo vuole il diritto ad andare avanti senza limiti prevedibili, ma anche a chi la vede diversamente di chiedere di evitare o sospendere inutili accanimenti».

Ma secondo lei quando è che ci si trova di fronte a un accanimento, all’inutilità degli sforzi per il mantenimento in vita? 
«Quando ci si trova di fronte allo stato vegetativo permanente diagnosticato a livello neurologico. Insomma, quando muore il cervello, come verificabile dopo almeno un anno di osservazione clinica e di esami elettroencefalici. È una fase in cui gli organi continuano a funzionare, ma la persona non è più viva, non ha coscienza, percezioni, nemmeno sofferenza. Proprio come in una pianta».

Dunque, contrariamente a quello che molti ancora pensano, secondo lei la vita di un uomo ha sede nel cervello e non nel cuore. 
«Certamente! La stessa disciplina dei trapianti si basa sulla differenza fra morte cardiaca e morte cerebrale. Quando un organo viene espiantato il corpo può essere ancora caldo, fisicamente vitale, ma la persona è morta, il cervello non funziona più, non riceve né trasmette più sensazioni o pensieri. Quel che conta a quel punto è che una morte si trasforma nella salvezza di un’altra vita».

Ma è sempre tutto così chiaro, sicuro? 
«Nel caso dei trapianti sì. Il testamento biologico deve invece tenere conto di alcuni casi intermedi, in cui il cervello mantiene il barlume di alcune funzioni, oppure negli stati cosiddetti locked, in cui un essere umano si ritrova incarcerato nel suo stesso corpo. Sono aspetti in cui le disposizioni date liberamente in vita e in piena coscienza diventano ancora più importanti».

Lei ha detto che la scienza medica non può evitare la morte ma allungare la vita sì. Che ne pensa di chi si fa congelare in attesa di nuove scoperte o di chi si fa lavare il sangue per non invecchiare? 
«Che non mi posso occupare di fantascienza e di leggende metropolitane. Quanto alla depurazione del sangue la possono garantire solo fegato e reni funzionanti e in buona salute».

E invece dell’insistenza del Presidente del Consiglio Berlusconi sugli studi in corso per portare la vita umana a 120 anni? 
«Che effettivamente ci si sta lavorando in varie parti del mondo e che è una prospettiva possibile. Basti pensare che in un secolo, in Italia, l’aspettativa di vita alla nascita è raddoppiata grazie ai miglioramenti nell’igiene, nell’alimentazione, nella medicina preventiva e nelle terapie, in generale alle condizioni di vita meno logoranti. È più che verosimile che con le nuove conoscenze genetiche e con le applicazioni della medicina predittiva si possa fare di meglio, ma gradualmente, generazione dopo generazione».

Dunque nessuna promessa di immortalità. Ma perché lavorare proprio sul traguardo dei 120 anni, né di più né di meno? 
«Perché sappiamo che geneticamente ogni specie vivente, compresa quella umana, è programmata per una durata massima di vita che non è modificabile. Possiamo però puntare a portare progressivamente tutti più vicini a quel traguardo, correggendo le imperfezioni, riparando i danni, prevenendo e rallentando i processi di invecchiamento».

Mentre è nel pieno della battaglia sulla legge per il fine vita, lei intanto lavora anche al nuovo progetto della sua Fondazione, l'incontro mondiale Science for Peace in programma a Milano il prossimo novembre. Ma che c’entra un medico oncologo divulgatore scientifico con l’argomento principe della politica internazionale? 
«La medicina contemporanea non può dimenticare la sua origine filantropica per eccellenza. Noi lavoriamo al servizio dell’uomo, per aiutarlo contro il dolore e le malattie. Ma, ancora oggi, nella maggior parte del mondo non si muore di infarto o di cancro o di incidenti stradali come nelle nazioni più ricche, ma a causa della fame, della sete e della guerra, con quest’ultima che è spesso conseguenza e sempre causa delle prime due. Ho invitato a Milano i premi Nobel e i massimi studiosi del problema per ricordare al mondo che il linguaggio della scienza è universale e pacifico; che può esprimere le soluzioni razionali dei problemi che sono alla base di molti conflitti; e deve ricordare che solo con la riduzione delle spese per gli armamenti si possono ricavare le risorse necessarie per evitare tutte quelle morti per fame, sete, malattia e violenza, che non sono affatto parte del ciclo della natura».

fonte:http://www.corriere.it/politica/09_marzo_17/magazine_veronesi_confine_vita_morte_f02cfd76-132b-11de-8994-00144f02aabc.shtml